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KKR E ALTRI FONDI SPECULATIVI SULLE INFRASTRUTTURE DELLE COMUNICAZIONI: IL GOVERNO MELONI SVENDE TIM.

  • Immagine del redattore: Resistenza Popolare
    Resistenza Popolare
  • 13 giu 2024
  • Tempo di lettura: 6 min

Nel 2023 abbiamo assistito all’ennesima svendita da parte del governo padronale e filo-atlantista della Meloni di uno degli asset strategici più importanti per ogni stato: le infrastrutture delle telecomunicazioni.


Nell’Ottobre dello scorso anno infatti il CDA della TIM ha approvato, senza passare per il voto dell’assemblea degli azionisti, la (s)vendita della sua rete fissa al fondo speculativo statunitense KKR, il peggiore degli affari col peggiore dei contraenti. La giustificazione data dal governo al mancato passaggio dall’assemblea degli azionisti trova le sue ragioni “nell’aver favorito una naturale operazione di mercato”, ma qui di mercato non c’è un bel niente, qui siamo di fronte ad una delle più classiche operazioni imperialiste dell’apparato statunitense.


Chi è il fondo KKR? Definito “the money machine” il fondo speculativo USA si è caratterizzato nel lungo periodo come vorace divoratore di capitale e distruttore di intere società, nel più classico dei modus operandi dei fondi speculativi, nel più recente periodo è stata importante la sua attività predatoria nei confronti delle infrastrutture strategiche nazionali. Spagna, Olanda, Colombia, India, Cile, Singapore, sono alcuni dei paesi che hanno ceduto le proprie infrastrutture delle comunicazioni nelle mani del fondo KKR. A pilotare tutto questo apparato c’è l’ex direttore della CIA, già noto per i fatti in Iraq e Afganistan, David Petraeus ripescato dopo gli scandali sessuali che lo hanno portato alle dimissioni e messo a capo del “KKR Global Institute” specializzato in analisi macroeconomica e geopolitica. Viene facile immaginare cosa ci faccia un ex direttore della CIA in un fondo speculativo “appassionato” di infrastrutture strategiche, ma cerchiamo di fare un po’ di chiarezza ritornando alla questione TIM per poi passare alla situazione in alcuni dei paesi prima citati.


L’interesse di KKR riguardo le nostre reti telefoniche è in essere già da tempo, per l’esattezza dal 2021 anno in cui il fondo è entrato prepotentemente nell’azionariato di FiberCop -società fondata da TIM nel 2020 e proprietaria delle linee in fibra ottica prodotte dalla partecipata TIM Flash Fiber nata nel 2016-. Oltre all’ingresso in FiberCop, KKR ha provato l’ingresso anche in Sparkle -altra società fondata da TIM e proprietaria delle reti sottomarine- ma questa operazione non è andata a buon fine. Servono più soldi rispetto ai miseri 600milioni di dollari messi sul piatto, quindi è solo questione di tempo per trovare un accordo ma nei piani degli svendi patria nostrani la cessione è in qualsiasi caso assicurata. L’altra fetta delle reti in fibra ottica è sostanzialmente in mano ad una banca di investimento australiana, Macguarie, che è presente in modo importante in OpenFiber -società fondata da Enel che si occupa di reti in FTTH- e qui arriviamo ad un importante punto di svolta: l’obiettivo dei due soggetti finanziari, una volta terminata l’acquisizione di TIM da parte di KKR, è arrivare alla fusione di FiberCop e OpenFiber e concretizzare l’unico vero obiettivo del capitale, il monopolio. Riassumiamo per rendere chiaro il concetto: infrastrutture nazionali delle telecomunicazioni in mano ad un cartello monopolistico gestito da un ex direttore della CIA, una vita a combattere il monopolio statale per poi realizzare il monopolio privato.


In tutto ciò non siamo soli, le vittime di questo meccanismo di controllo delle infrastrutture e creazione di monopoli privati all’interno di strutture strategiche sono ormai all’ordine del giorno.


Nel 2020 Màsmòvil -società di telecomunicazioni spagnola e quarto operatore del paese, società figlia della britannica Lorca JvCo- venne acquistata da KKR, Providence e Cinven, tutti e tre fondi speculativi. Successivamente nel 2022 è iniziata una join-venture tra Màsmòvil e Orange -impresa di telecomunicazioni francese con attività nel panorama mondiale- al 50% e con pari diritti di governance, dal valore di 18,6 miliardi di Euro. Sempre maggiore accentramento di capitale nelle mani di pochi speculatori.


Nel 2022 il fondo KKR è ancora protagonista partecipando ad una partnership avviata da Vodafone e con il Global Infrastructure Partners (GIP) per l’acquisto delle Vantage Tower -società di torri per telecomunicazioni con sede in Germania che controlla 83.000 siti in dieci paesi, più comunemente la società che controlla la rete wireless- con una partecipazione dell’81,7%.


Potremmo continuare ancora citandovi episodi diversi ma simili, caratterizzati dalla creazione di monopoli all’interno delle strutture delle telecomunicazioni e presenza neanche tanto velata di apparati di intelligence statunitensi. Ma concentriamoci sugli effetti che queste operazioni finanziarie hanno in termini occupazionali e produttivi.


Il 1997 è l’anno in cui è iniziata quella che è stata definita “la madre di tutte le privatizzazioni” ad opera del governo Prodi, spacchettando l’azionariato dell’allora Telecom Italia tra la borghesia nazionale e straniera e dando il via alla distruzione della quarta società delle telecomunicazioni a livello mondiale. Non andremo qui a farvi un excursus storico della privatizzazione di TIM, vogliamo solo sottolineare qualche dato per darvi la misura della catastrofe economica e sociale messa in atto:


• Dipendenti: 1997 → 120mila;

2024 → 47mila;

• Fatturato: 1997 23,2miliardi di euro – nessun debito – oltre 10miliardi di lire in patrimonio immobiliare;

2024 16miliardi di euro – oltre 25miliardi di euro di debiti

• Abitazioni senza connessione ad oggi: 2,8 milioni circa.


Lavoratori più che dimezzati; fatturato diminuito di un buon 35%; patrimonio immobiliare svenduto un po’ da tutte le proprietà, con il colpo finale dato durante la stagione Pirelli; 11 anni di cassa integrazione; abuso spropositato della Naspi; mancati aumenti salariali avvenuti più e più volte con rinnovi di contratti che portavano ad aumenti al di sotto dell’incremento dei costi della vita; buonuscite stratosferiche per gli amministratori delegati, con furti di più di 100milioni di euro. Questi sono gli effetti generali della privatizzazione e oggi, o meglio già da qualche tempo, si afferma con sempre più prepotenza una privatizzazione di tipo non più industriale ma finanziaria, con iene e avvoltoi disposti a spolpare qualsiasi fonte di produttività in cambio di una buona rendita finanziaria e amministratori delegati premiati con valanghe di soldi per aver reso servilmente il lavoro sporco.


Proviamo a capire adesso quali sono gli scenari che abbiamo davanti e quale rischio corriamo a livello occupazionale.


Chiariamo prima un paio di punti per rendere più semplice la comprensione. La struttura societaria di TIM prevede al momento la divisione della gestione in due rami: reti fisse e commerciale. Tale divisione si realizza nella presenza di due diverse società: NetCo -prossima ad essere assorbita da FiberCop dopo l’acquisizione da parte del fondo KKR- che si occupa delle reti e ServiceCo che si occupa del commerciale.


L’operazione finanziaria e commerciale in atto porterà i lavoratori, divisi a loro volta in due società, a vivere un periodo di grande instabilità. Infatti dei 40mila dipendenti TIM presenti in Italia, il fondo KKR ha garantito stabilità lavorativa per 21mila di essi tramite la società NetCo, mentre Vivendi -fondo francese azionista di maggioranza in ServiceCo- ha garantito stabilità per soli 8/9mila lavoratori su circa 17mila al momento in carica. C’è un chiaro e netto esubero di circa 10mila dipendenti. In questo dramma occupazionale KKR ha comunicato che potrebbe esserci un ulteriore aumento del personale in NetCo a seguito degli investimenti futuri sulla rete fissa, ma ad oggi abbiamo solo parole e lo scenario che più si dimostra realistico è quello dell’ulteriore taglio del personale.


Se questo drammatico scenario dovesse realizzarsi avremmo una contrazione della forza lavoro superiore al 20%, migliaia di famiglie senza più un salario e un futuro sicuro, per i più “anziani” una probabile condanna all’esodo dal mondo del lavoro.


Uno scenario che se sommato alla vertenza Stellantis in atto, alla vicenda Alitalia -ricordiamo che il 31 ottobre scadrà la cassa integrazione straordinaria per gli ex lavoratori- e a tutta la storia italiana di svendita del patrimonio pubblico ci pone davanti ad una scelta: continuare con la strada delle privatizzazioni e favorire la creazione di monopoli finanziari che portano alla distruzione dello stato sociale e delle classi subalterne; oppure intraprendere un percorso di potenziamento dell’apparato industriale e produttivo italiano attraverso un importante intervento dello Stato come protagonista diretto e direttore, mettendo in discussione tutti i mantra e i vincoli europei che negli ultimi 30 anni ci hanno imprigionato e dissanguato. Non stiamo parlando di operazioni politiche da “pericolosi bolscevichi”, ma di piani economici che diano un minimo di stabilità alla classe lavoratrice e al paese, assicurando progettualità e visione all’azione politica.

Non basta un controllo dello Stato tramite possibilità di veto -ormai messo addirittura in discussione- ma urge un’azione da protagonista: al monopolio del privato noi contrapponiamo il monopolio dello Stato. Che siano scelte di direzione, di allocazione di risorse, di remunerazione, l’interesse predominante deve essere quello collettivo, delle masse di lavoratori, studenti, anziani e malati. Non può più essere l’interesse di pochi privati -che trova la sua casa nel mondo della finanza e della speculazione e non più nell’economia reale e produttiva- a dettare l’agenda del domani, il futuro di migliaia e milioni di persone non può più essere alla mercé di squallidi speculatori finanziari. Lo Stato deve tornare ad avere la sua funzione di potere e monopolio decisionale che trova il suo interesse nell’interesse collettivo e solo un rinnovato e forte partito Comunista può porsi a guida di questo Stato.

Solo in questo modo si potrà intraprendere un percorso di rivalsa per il 99% del popolo, un percorso che vede nella classe lavoratrice il faro verso il nuovo giorno che verrà, il protagonismo dei subalterni sotto la bandiera del Comunismo come arma per “abolire lo stato di cose presente”. Per un futuro senza più KKR, senza più Stellantis, senza più padroni.


Davide Guerra,

Responsabile gruppo Lavoro di Resistenza Popolare.

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