LA GERMANIA VA A DESTRA, MA C’È SPERANZA
- Resistenza Popolare
- 28 feb
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Il risultato elettorale tedesco prevede un sistema misto tra maggioritario e proporzionale, per cui l’analisi del voto deve tenere conto del fatto che la quota di maggioritario tende a favorire i partiti più noti al grande pubblico. Noi prenderemo in esame i risultati del “proporzionale”, ricordando il vincolo antidemocratico di un sistema che pone uno sbarramento molto alto, ben il 5%, tale da rendere molto difficile l’accesso alla rappresentanza istituzionale alle forze “minori”.
Analizzando i risultati sul sistema proporzionale si può comunque constatare la netta sconfitta della socialdemocrazia: l’SPD del Presidente uscente Scholz perde quasi 4 milioni di voti rispetto al 2021, ottenendone poco più di 8 milioni (ma sono quasi 10 nel maggioritario) per attestarsi al 16,4%, scontando evidentemente la politica guerrafondaia poco gradita al proprio elettorato “progressista”. Spiegazione simile si può trovare per il calo dei Verdi, che dai 6,8 milioni di voti del 2021 passano ai 5,7 milioni attuali: un milione secco in meno, attestandosi all’11,6%. I Verdi ci spiegheranno un giorno come si possa conciliare la difesa dell’ambiente appoggiando le guerre, le politiche di riarmo e senza imporre una pianificazione statale dell’economia. Tra i guerrafondai sconfitti, addirittura fuori dal Parlamento federale, i liberali (FDP) che crollano al 4,33% perdendo più di 3 milioni di voti in 4 anni. Fin qui ottime buone notizie.
Purtroppo vince però ancora nettamente la democrazia cristiana tedesca (CDU), che passa dagli 8,7 milioni di voti del 2021 ai 14 (ma sono quasi 16 nel maggioritario) del 2025, rilevando però come nel risultato odierno vadano conteggiati anche i voti portati dalla CSU (Unione Cristiano-Sociale bavarese), che 4 anni fa portava a casa 2,4 milioni di voti correndo da sola. L’Unione CDU/CSU risulta così la prima forza politica del Paese, nonostante una maggioranza molto relativa del 28,5% dei consensi. Il voto alla CDU/CSU sembra riscuotere il consenso per il proprio spostamento furbesco e opportunistico “a destra” con cui ha limitato l’ascesa della più radicale AfD, venendo percepita come un argine moderato e conservatore alle forze “anti-sistema” e alla stessa inerzia mostrata dalla SPD, rea di non aver saputo far nulla di concreto per contrastare la più grande crisi economica del Paese dei tempi recenti.
L’AfD, nonostante la perdita di consensi rispetto agli ultimi sondaggi, cresce enormemente, guadagnando più di 5 milioni di voti, passando dai 4,8 del 2021 ai 10,3 attuali, attestandosi al 20,8%. L’AfD si afferma come il partito più votato tra gli operai (38%), con un aumento del 17% rispetto al 2021 e in crescita rispetto al 33% delle scorse europee. Grande la responsabilità dei socialdemocratici, che in un contesto di crisi dell’imperialismo occidentale hanno fatto pagare anzitutto ai lavoratori i costi e le conseguenze della guerra e della perdita di competitività internazionale della propria industria nazionale.
Sorprendentemente positivo il risultato di Die Linke, che raddoppia i voti rispetto al 2021, passando dai 2,27 milioni agli attuali 4,35, per un lusinghiero 8,77% che la riporta ai risultati presi fino a 10 anni fa. La crescita improvvisa della Linke è dovuta ad un insieme di fattori che vanno valutati con attenzione: anzitutto un maggiore radicamento territoriale (più di 30 mila iscritti da inizio anno) che hanno permesso al partito di arrivare a quasi 100 mila tessere totali, superando ogni record precedente dalla sua nascita. Un partito “solido” quindi, che ha saputo rinnovarsi nel gruppo dirigente, tornando a parlare “da sinistra” di temi sociali concreti (la proposta del calmiere sugli affitti, la sanità universale, l’aumento del salario minimo, l’introduzione di una tassa patrimoniale, ecc.) sfruttando sia il vecchio metodo del “porta a porta”, sia un uso più moderno dei mezzi di comunicazione di massa come TikTok e Instagram. Quest’ultima strategia gli ha permesso di diventare il partito più votato tra i giovani con età tra i 18 e i 24 anni con il 26% dei voti, ed in particolar modo tra le giovani donne (34%) mentre tra i maschi spadroneggia AfD. Sono dati su cui riflettere per ricordare l’importanza di saper affrontare la questione di genere in un’ottica di classe senza scadere in pose “machiste” controproducenti e oggettivamente reazionarie, ma senza neanche cedere all’estremismo genderiano e alla cultura woke che alinea le simpatie maschili. Nonostante tutto rimangono forti riserve sull’impostazione complessiva che ha preso il partito: non si tratta più solo di criticare alcune correnti e tendenze culturali interne all’organizzazione, ma di problemi strutturali, equiparabili ai limiti presenti in buona parte della sinistra antiliberista gravitante attorno al GUE/NGL e alla Sinistra Europea: in sostanza bene la critica della NATO, male l’analisi sulla guerra russo-ucraina, con l’attribuzione esclusiva del conflitto alla Russia e il pieno sostegno a Kiev, che fa evidentemente il gioco dei guerrafondai di Bruxelles. Pessima perfino l’equidistanza tra Israele e Palestina, rifiutandosi di definire “genocidio” le operazioni messe in atto da Netanyahu. Totalmente utopistico e al limite del tradimento dire, come ha fatto uno dei leader (Jan Van Aken), di essere “grandi supporter dell’Unione Europea” desiderando un’Europa “sociale” e “di pace”. C’è da sperare che queste posizioni possano essere riviste prontamente, e la nostra condanna sarebbe molto più netta se non sapessimo che ci sono componenti interne alla Linke altrettanto critiche di queste affermazioni. In definitiva il rischio è che la ripresa di una sinistra antiliberista e critica del sistema capitalistico quale è la Linke possa tradursi nella consacrazione di una nuova stampella socialdemocratica all’Unione Europea, come da oltre un secolo a questa parte è stata l’SPD. Si può solo sperare che simili rigurgiti di socialismo utopistico, sempre più dimentichi della lezione marxista, vengano col tempo respinti assieme alle tendenze collaborazioniste con il regime vigente, facendo emergere la necessità della costruzione di una chiara e netta alternativa sociale, politica e culturale alle forze guerrafondaie (siano esse di destra o di “sinistra”) riallacciando i rapporti con il BSW, per quanto oggi le posizioni appaiano inconciliabili.
BSW, il partito di Sahra Wagenknecht, che purtroppo non supera lo sbarramento per appena 13 mila voti, rendendo vani i restanti 2,46 milioni di consensi ottenuti. C’è da rilevare come la Wagenknecht abbia denunciato l’irregolarità del voto, specie riguardo i cittadini all’estero, e non si può escludere in ultima istanza che il “sistema” abbia fatto di tutto, non solo “regolarmente”, per tenerla fuori dal Parlamento federale, essendo di fatto tale forza l’unica che sia riuscita a sottrarre voti ad AfD, riuscendo a incrementare, seppur di poco, la propria forza rispetto alle elezioni Europee di un anno fa. Il mancato sfondamento è verosimilmente dovuto, oltre alla campagna del regime tesa a demonizzarne l’immagine (di cui abbiamo avuto un riflesso anche in Italia con i giornalisti al servizio dell’impero che ci presentano BSW come forza “rossobruna”), un paio di fattori concomitanti: da un lato l’errore di far conseguire agli ottimi risultati ottenuti nelle recenti elezioni in Turingia e Brandeburgo con la costruzione di maggioranze politiche locali comprendenti l’SPD e nel primo caso addirittura la CDU, incrinando immediatamente l’immagine di una forza “antisistema”; dall’altro lato recentemente ha votato insieme all'AfD su una proposta di legge presentata strumentalmente dalla CDU/CSU e volta a limitare l'afflusso di migranti in Germania. La falsa retorica “liberale” denuncia come “fascista” qualsiasi provvedimento che vada a limitare i flussi migratori in entrata. La posizione critica del BSW sul tema non può certo essere etichettata come rossobruna, dato che come noto l’arrivo in massa di diseredati dai paesi oppressi dall'imperialismo piace molto ai padroni, che possono così disporre di un costante “esercito industriale di riserva” privo di diritti e pronto a lavorare sottopagato. L’errore non è quindi la posizione in sé, che non ha nulla a che spartire con le pulsioni xenofobe, e per conoscere la quale si può leggere il libro “Contro la sinistra neoliberale” promosso perfino da Vladimiro Giacché; l’errore è stato cadere nella trappola di votare un provvedimento che non aveva i numeri per passare, e che era portato avanti dalle destre (quella liberale e quella estrema) su cui ci si poteva tranquillamente astenere per smarcarsi rispetto alla contrarietà delle stesse sinistre “no border”. Sono due errori politici che hanno pesato entrambi, e che messi assieme hanno sicuramente impedito di attirare da un lato l’elettorato più “antisistema” (che è ripiegato totalmente sull’AfD), dall’altro quello “antifascista” (che si è indirizzato sulla Linke). La mancata partecipazione al Parlamento federale renderà più difficile la crescita ulteriore del BSW, a cui vanno comunque i nostri auguri di pronta ripresa dopo adeguata autocritica.
Da registrare l’importante dato dell’affluenza in crescita: ha votato l’82,5% degli aventi diritto, mentre nel 2021 erano il 76,8%, un dato in netta controtendenza rispetto a molte altre tornate elettorali sparse per l’Europa, e che mostra la condizione di tenuta della democrazia liberale tedesca, per quanto su questa continui a pesare la netta diversificazione tra la parte occidentale (ex RFT) e quella orientale (ex DDR). A pesare su questo dato, come pure sulla vittoria dei democristiani e della Linke, è sicuramente il bombardamento mediatico che ha mobilitato milioni di persone a recarsi alle urne per frenare l’ascesa della destra estrema. La Germania occidentale, nonostante la duratura permanenza di personaggi, istituzioni e pratiche legate al nazismo negli anni della guerra fredda, ha costruito nel tempo un totalitarismo “liberale” che ha saputo fare i conti, almeno sul piano culturale, con la denuncia dei crimini del nazismo, e questo certamente ha pesato nel mancato sfondamento di AfD in queste regioni. AfD che risulta invece il primo partito nelle regioni dell’ex DDR, che ancora subiscono i danni socio-economici della conquista occidentale avvenuta nel triennio 1989-91, e in cui sopravvive un diverso sistema di valori derivati dal socialismo (non il razzismo, come direbbero i liberali faziosi, ma il comunitarismo, la giustizia sociale, il patriottismo, un’identità molto forte, ecc.).
Un’osservazione importante: pur essendo evidentemente e palesemente una forza di estrema destra, l'AfD si dissocia ufficialmente da qualsiasi forma di nazismo e sostiene di esprimere un nazionalismo “legittimo” e una critica alle politiche migratorie e dell'Unione Europea. Al suo interno ci sono sicuramente frange riconducibili ad ambienti nostalgici del neonazismo, ma esse risultano minoritarie e il partito non sembra costituire al momento un pericolo per la democrazia liberale stessa. La demonizzazione fatta dai liberali di tale organizzazione dipende anzitutto dal suo “euroscetticismo” e dalla sua volontà di ripristinare relazioni con la Russia e dal suo neo-conservatorismo che lo pone sulla scia dell’ideologia trumpiana e di altre “nuove destre” europee (dalla Le Pen alla Meloni stessa). Il vero problema, per cui l’AfD non può costituire un punto di riferimento politico per i lavoratori, è lo stesso che si pone per le forze apparentemente antagoniste della destra italiana: oltre a prevedere una serie di politiche di riduzione dei diritti civili tese a dividere su scala cultural-identitaria la classe lavoratrice, fomentando il conflitto tra “autoctoni” e “immigrati”, oltre che ripristinando una cultura pienamente patriarcale, l’AfD non ha assolutamente nulla da dire riguardo alla NATO, sulla questione palestinese ha mostrato una posizione apertamente filo-sionista e in ultima istanza non ha una posizione chiara sull’Unione Europea. Lo “scetticismo” su quest’ultima è stato già visto in altri tempi in Italia negli esponenti di punta della Lega e di Fratelli d’Italia, e si è sempre risolto nella sostanza nel classico can che abbaia ma che non morde quando gli è possibile farlo. Le politiche economiche sono tese inoltre a ripristinare un mercato sempre più liberista e selvaggio, chiarendo che la politica “nazionalista” servirebbe a riaffermare un imperialismo tedesco autonomo, un sistema cioè fondato sul primato dei propri grandi monopoli che certamente farebbe gli interessi dei ricchi, ma non necessariamente dei subalterni. Non avendo quindi una linea anticapitalista, nonostante il consenso ricevuto dai lavoratori, non potrà mai fornire risposte che facciano davvero gli interessi delle classi popolari.
Speriamo che gli operai e i cittadini dell’Est tedeschi, che oggi votano in massa AfD non credendo agli allarmismi sicuramente esagerati del totalitarismo “liberale”, si rendano conto al più presto che la soluzione politica ai loro problemi passa dalla necessità di sostenere la giusta sintesi tra le posizioni della Linke (specie sui temi concreti dei diritti sociali e del lavoro) e del BSW (specie sulla questione del recupero della sovranità nazionale e popolare), come noi stessi di Resistenza Popolare cerchiamo di fare in Italia, cercando di “modernizzare” la sinistra di classe dandole una direttrice strategica adeguata. Un punto deve essere chiaro: le analisi dei flussi elettorali dicono chiaramente che la Linke non ha “rubato” voti al BSW (semmai è vero il contrario), ma principalmente ai Verdi e alla SDP. I bacini di voto delle “due sinistre” (Linke e BSW) sono quindi diversificati, e i due partiti presentano entrambi punti di forza importanti, anche se complessivamente sulle questioni strategiche è più netta e giusta la posizione del BSW.
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