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LA VOCE DEL LAVORO: PAROLA A FABIO NATELLA LAVORATORE PARTITA IVA NEL MONDO DELLO SPETTACOLO

  • Immagine del redattore: Resistenza Popolare
    Resistenza Popolare
  • 5 mar
  • Tempo di lettura: 4 min


Fabio Natella, attivista storico del territorio salernitano, porta con sé un doppio bagaglio: decenni di lotte ambientali a Pontecagnano Faiano e l'esperienza come lavoratore autonomo nello spettacolo. Negli anni, ha combattuto contro lo sversamento illegale di rifiuti e l’amianto negli ex stabilimenti industriali, battaglie che oggi si trasformano in una resistenza contro un altro tipo di tossicità: quella di un sistema economico che tratta la cultura come merce e i creativi come forza-lavoro precaria.


Fabio racconta algoritmi che sostituiscono il valore artistico con metriche di profitto, clientelismo che sostiene le lobby del settore, e istituzioni che preferiscono finanziare la guerra anziché i teatri. La sua storia è un esempio di come il capitalismo estrattivo – quello che ieri devastava la sua terra con l’amianto – oggi saccheggi l’arte, trasformando Spotify e YouTube in nuovi padroni digitali.


Questa intervista non è solo la testimonianza di un agente di spettacolo: è il racconto di chi, dopo aver lottato per i beni comuni ambientali, si ritrova a difendere i beni comuni culturali in un’epoca in cui anche la creatività viene precarizzata. Perché la posta in gioco, ieri come oggi, resta la stessa: sottrarre risorse alla logica dello sfruttamento per restituirle alla collettività.


Ci vuoi raccontare nel dettaglio di cosa ti occupi e se hai avuto anche altre esperienze lavorative in passato?


"Mi occupo principalmente di musica e sono un Agente di Spettacolo (almeno sulla carta). Insegno privatamente recitazione a pochi allievi per tre mesi all’anno, essendo un attore e un regista teatrale e avendo specialistiche annesse che mi permetterebbero di operare in più campi dello spettacolo."


Quali sono le problematiche maggiori che incontri nel tuo lavoro?


"Sicuramente le problematiche che incontro sono sia dal punto di vista burocratico e di fiscalizzazione, sia del pagamento oneroso delle tasse (essendo una P.I. a regime forfettario, non devo e non supero comunque i limiti di fatturazione che tendono a farmi pagare tasse onerose a livello annuale, ma comunque a volte mi trovo a pagare le stesse tasse di una P.I. normale). Dal punto di vista burocratico, ho bisogno di un commercialista per operare al meglio nel mio lavoro, che comunque viene pagato dal sottoscritto al di fuori delle tasse della P.I. Ho molta concorrenza dal punto di vista lavorativo per fare lavorare i miei artisti attori o attrici, perché quando la produzione li contatta dopo che io ho fatto il lavoro di promozione e preparazione di questi, loro non vogliono avere a che fare con me se non appartengo alle agenzie che già lavorano per loro. Quindi vi è un clientelismo spietato in questo. Ovviamente, se io ho un artista in esclusiva avendo la procura di questo, posso accompagnarlo a un provino o a firmare un contratto come comparsa o personaggio in fiction o altro, ma questo non vuol dire necessariamente che l’artista lavorerà con continuità. Io guadagno il 20% dal guadagno al netto dell’artista e devo pagare le ta su quel 20%0di guadano. Con il teatro e l’insegnamento, pur presentando progetti nelle scuole, non avendo uno stabile teatrale né una compagnia teatrale alle mie spalle, pur se un progetto è valido, non mi viene accettato e viene data priorità a chi ha conoscenza. Nella musica mi autoproduco investendo, ma resto sempre uno sconosciuto perché l’industria musicale si muove su parametri di numeri in relazione agli algoritmi delle piattaforme digitali, e l’ambiente è pieno di raccomandati, tra l’altro incompetenti."


Quale pensi sia la causa di queste difficoltà?


"Sicuramente una poca attenzione a incentivare chi nel campo professionale ha realmente competenze e cultura in materia. Non vi è meritocrazia nel mondo dello spettacolo, ma solo sistemi settari e corrotti, dove vengono fatti pochi controlli da parte di organi competenti. Non interessa l’arte e la cultura come socialmente utile per gli individui: tutto è un bene di consumo. Le canzoni e gli artisti sono trattati come beni di consumo e non come ricchezza culturale e intellettuale."


Che aria si respira nell’ambiente lavorativo in cui agisci?


"Un’aria pesante che sa di una finta leggerezza, almeno per come appare il mondo dello spettacolo per chi lo percepisce e lo vive da dietro lo schermo."


Più specificamente, si percepisce uno stato d’animo di rassegnazione o piuttosto di lotta?


"Le lotte per i diritti per i lavoratori dello spettacolo sono inesistenti. Il Governo attuale ha speso spende 400 milioni di euro per gli armamenti e la guerra, e 14 milioni per il teatro solo nel 2024. Non può esservi nessun interesse a lottare, ma solo a essere degli squali per accaparrarsi un po’ della fetta che viene messa in campo da privati, ma sempre di meno dal denaro pubblico. È uno schifo non poter far crescere culturalmente il tuo paese tramite TV, fiction, teatro e musica, sempre più utilizzati come mezzo di propaganda e non come mezzo di rivoluzione culturale o di informazione."


In questo secondo caso, coi tuoi colleghi, o con singoli/e cittadini/e pensi di pianificare attività volte alla tutela del vostro lavoro e al mantenimento della produzione nello stabilimento?


"I miei colleghi, almeno per il 90%, non pianificano nessuna rivolta popolare nei confronti dei colossi della musica o del cinema o del teatro. Qualcuno riesce a sopravvivere come me, autoproducendosi o con autosovvenzioni, facendo un secondo lavoro. Ripeto: da fuori, a chi osserva da dietro uno schermo o ascolta la musica da piattaforme come Spotify o YouTube, è tutto a posto. Loro, per quelli come me, sono al pari di Amazon: multinazionali che non pagano le tasse e che distruggono il valore etico, morale, economico e culturale di quello che noi altri definiamo arte."





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