Riforme Valditara: piena continuità con modello neoliberista ma in salsa “sovranista”
- Resistenza Popolare
- 16 apr
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Diciamo no al modello di scuola azienda che ha caratterizzato tutte le riforme da almeno 30 anni a questa parte di centrodestra e centrosinistra. La disamina sulle riforme del Ministro Valditara è impietosa e nel pieno solco di continuità con le riforme attuate anche dai governi di centrosinistra. L’aumento delle ore dei tirocini dall’attuale riforma, nonché il potenziamento dell’alternanza scuola lavoro volta dal governo Renzi, dimostrano che è in atto un attacco frontale all’idea stessa di scuola aperta come luogo di formazione e di sviluppo del pensiero critico volta a preparare i cittadini di domani e si vuole invece ridurre la scuola a mera preparazione al mondo del lavoro. Il cosiddetto modello “4+2”, che prevede la riduzione del percorso negli istituti tecnici a 4 anni e l’introduzione di un biennio specializzante porta alle estreme conseguenze la logica della riforma del governo Renzi di fare delle scuole a uso e consumo degli interessi delle aziende. Riguardo il modello 4+2 negli istituti tecnici, a dichiarare che la Riforma Valditara è fatta per gli interessi delle aziende e non degli studenti è lo stesso ministero che afferma sul sito: ” Oggi l’istruzione tecnica e professionale diventa finalmente un canale di serie A, in grado di garantire agli studenti una formazione che valorizzi i talenti e le potenzialità di ognuno e sia spendibile nel mondo del lavoro, garantendo competitività al nostro sistema produttivo”, ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. “L’Italia è il secondo Paese manifatturiero in Europa: secondo i dati Unioncamere Excelsior, dalla meccatronica all’informatica serviranno da qui al 2027 almeno 508mila addetti, ma Confindustria calcola che il 48% di questi sarà di difficile reperimento. A settembre 2023 questo dato ha già raggiunto quota 48% (+ 5 punti rispetto al 43% di un anno fa, nel 2019 era il 33%). Il disegno di legge approvato oggi ha l’obiettivo di trasformare questi numeri allarmanti in una grande opportunità per i nostri giovani.” [fonte 1] Senza il minimo pudore il ministro Valditara ammette che la sua riforma serve a consegnare alle imprese manodopera a basso costo da sfruttare. L’idea che destra e sinistra promuovono con continuità (Moratti, Fioroni, Gelmini, sedicente Buona scuola adesso Valditara) è un’idea di scuola che serve ad addestrare per una mansione lavorativa, in cui i giovani devono abituarsi ad essere spremuti dalle aziende. Nei quattro anni disponibili sarà obbligatorio svolgere centinaia di migliaia di ore di stage, di alternanza scuola lavoro e di incontri con esponenti della filiera produttiva presente sul territorio. È evidente a chiunque che il tempo disponibile in classe sarà tagliato in modo drastico. A pagarne le conseguenze saranno principalmente gli studenti provenienti dalle situazioni socioeconomiche più fragili. Un anno di scuola in meno e la prospettiva di entrare subito nel mondo del lavoro è sicuramente una prospettiva molto attraente soprattutto per gli studenti delle classi popolari. Si tratta di un modello pensato per segnare fin dai 14 anni il destino degli studenti, che saranno costretti ad apprendere lo stretto indispensabile per potersi rendere utili nel mondo produttivo almeno finché il cambio della tecnologia non renderà obsolete le loro competenze. Competenze che senza una solida base scientifica che gli permette di adattarsi all’impetuoso sviluppo di materie come l’informatica, l’elettronica e l’intelligenza artificiale, li condanneranno dopo alcuni anni di sfruttamento, ad essere emarginati dal mondo produttivo e pronti ad essere sostituiti da nuove leve di studenti che saranno a loro volta sfruttati dalle aziende. Quasi un anno in meno di formazione e un conseguente ridimensionamento dei già inadeguati percorsi della filiera tecnico-professionale, non tengono conto che in una società del sapere come quella in cui viviamo, senza una formazione di base solida in ambito scientifico, una scuola così concepita ti prepara per la tecnologia di oggi ma non a capire la tecnologia di domani (e questo meccanismo è scientificamente perseguito).
La riforma della filiera tecnologica-professionale e pcto, è il nucleo delle riforme del governo Valditara. Tutte le altre riforme, dal voto in condotta all’introduzione del fallimentare Liceo del Mady in Italy, alle recenti nuove indicazioni per i programmi scolastici (con l’introduzione dello studio della Bibbia a scuola, il ritorno dello studio delle poesie a memoria, l’inserimento del latino come materia facoltativa alle medie, lo studio dei popoli italici) hanno il sapore di mere riforme propagandistiche che strizzano l’occhio all’elettorato più tradizionalista di questo governo. Entrando nel merito delle riforme del ministro Valditara, possiamo osservare come esse, come quelle che le hanno precedute, tendono allo smantellamento della scuola pubblica di Stato, privatizzandola. La legge 121 dell’8 agosto 2024 di “Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale” (4 anni di istituti tecnici o professionali+2 di ITS Academy: istituti tecnologici superiori, post diploma o postlaurea), è un vero e proprio cavallo di Troia che consente ai privati di conquistare maggiormente il sistema pubblico d’istruzione italiano. È una legge che sancisce l’ingerenza dei privati con la conseguente subordinazione didattica dei piani di lavoro e che tende, di fatto, ad annullare la libertà di insegnamento ormai costantemente sotto attacco da parte dei governi. Produrrà la regionalizzazione del sistema di istruzione, tagli del personale e delle cattedre. Le aziende, infatti, forniranno loro docenti con contratto d’opera e gli organi collegiali – Collegio Docenti e Consiglio di Classe – verranno esautorati. A tal proposito al ministero si sta lavorando per una revisione degli organi collegiali che andrà a rafforzare il potere del Dirigente Scolastico. Peraltro, tale schema andrà a sovrapporsi a situazioni già operanti (scuole, soggetti privati, Regioni) e non farà altro che creare ulteriore confusione tra famiglie e studenti. Tuttavia, nel tentativo di glorificarne le sorti, il Ministero offre dati discutibili e parziali. Quelli raccolti finora sulle iscrizioni per l’anno scolastico 2025/2026 ci parlano di una realtà ben diversa: istruzione liceale in leggera crescita, istruzione tecnica in calo, istruzione professionale stabile. Le manovre dilatorie per raccogliere il più alto numero di adesioni alla sperimentazione quadriennale tra i tecnici e i professionali non hanno dato i risultati sperati. Ma pur di perseguire la privatizzazione della scuola pubblica, il Ministero piega in suo favore i dati raccolti e giustifica la “bontà” delle scelte di un governo neoliberista, parafascista e guerrafondaio che persiste nel privatizzare settori vitali per i cittadini. Infatti, per il secondo anno la sperimentazione della filiera nonostante le pressioni su famiglie, uffici scolastici regionali, sulle scuole – soprattutto sui dirigenti scolastici e sui collegi docenti – i risultati sono assai modesti tanto da indurre la stessa Amministrazione, si dice, a riflettere attentamente sulla questione. La legge 121 è indubbiamente una legge che soddisfa a livello temporale del “qui e subito”, solo ed esclusivamente i bisogni del mondo imprenditoriale e del mercato – con la riduzione di un anno delle superiori (altro che un’ulteriore specializzazione!) – e che impone scelte precoci in un’età – 13 anni – dove una persona in crescita, seppur guidata dagli adulti, deve sentirsi invece libera di esplorare il suo futuro, fosse anche quello lavorativo. Non è un caso che le scuole che vogliono aderire alla sperimentazione, tra le altre cose, si devono impegnare a potenziare e anticipare le ore dedicate ai PCTO (l’ex alternanza scuola-lavoro); definire relazioni stabili con aziende del territorio; stipulare contratti di apprendistato di primo e terzo livello e, dulcis in fundo, garantire la riduzione di un anno ma raggiungendo gli identici obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze previsti dai corsi quinquennali. Una vera e propria assurdità didattica che dimostra ancora una volta come queste riforme vengano formulate da soggetti che non mostrano alcun interesse per le sorti della scuola, per gli studenti e per chi ci lavora e che perseguono solo ed esclusivamente gli interessi economici di “soggetti terzi”.
L’idea stessa dei PCTO (resi obbligatori dalla “buona scuola” di Renzi) – ripiegata sull’esclusivo sviluppo di competenze tecnico-operative a fini produttivi e competitivi, ma anche sull’idea di “imprenditorialità” tanto cara alla scuola del “merito” – relega l’esperienza dell’individuo alla conoscenza di un solo aspetto, pur importante, della sua vita, negandogli però i primari bisogni formativi, universali e spirituali, importanti per la sua crescita. La loro obbligatorietà peraltro crea difficoltà organizzative e gestionali nelle scuole, infatti, queste ultime spesso sono in difficoltà nella ricerca di aziende ospitanti (assenti o insufficienti sul territorio, presenti in zone periferiche difficilmente raggiungibili) e sono costrette a rivolgersi a soggetti che poco hanno a che fare con l’indirizzo scelto dagli studenti, facendo venire meno in loro l’aspetto motivazionale e senza dimenticare lo scarso riconoscimento economico destinato al personale impegnato nell’attività aggiuntiva di tutor. Ma l’aspetto più drammatico riguarda la sicurezza e la prevenzione dei rischi. Numerosi sono stati gli infortuni in questi anni – alcuni dei quali mortali – a dimostrazione che pur di fare profitto, per il capitale la vita umana non conta nulla, neppure quella di giovani studenti. La scusa è sempre la stessa: dare un’opportunità di futuro lavorativo qualificato ai giovani. Un futuro invece che già ora è di schiavitù, sfruttamento, precarizzazione e morte perché queste sono le uniche leggi che consentono alla società capitalista di sopravvivere. La prospettiva non è certamente un “collegamento” tra scuola e impresa ma rendere subordinata la prima alla seconda. Scuola quale “esercito di riserva” del mercato. Scuola quale agenzia di “avviamento al lavoro” con una mano d’opera a costo zero. Una legge che produrrà un ulteriore impoverimento dell’impianto culturale del sistema d’istruzione nazionale, un immiserimento del sapere e imporrà il potere del comando neoliberista. Questo modello di società invece di rimettere in moto l’ascensore sociale fa di tutto per mantenerlo fermo e la legge 121 ne è la conferma! La riforma Valditara conferma dunque una deriva neoliberista della scuola italiana cominciata col trionfo della controrivoluzione neoliberista degli anni ‘80 che sta cancellando progressivamente le conquiste sociali avvenute nel 1900. Tali conquiste, come l’unificazione delle scuole medie nel 1962 e l’apertura delle università a tutti i diplomati nel 1969, sono state il frutto di un duro lavoro da parte delle forze progressiste italiane, in primo luogo comunisti e socialisti. La scuola e l’università sono diventate via via più accessibili alla popolazione, con un incremento non solo del livello di studio raggiunto, ma anche della qualità dell’insegnamento stesso. Purtroppo, come molti altri aspetti della società italiana, anche l’istruzione ha subito un declino negli ultimi 30 anni, declino che continua tuttora. L'autonomia scolastica, introdotta dalla legge Bassanini nel 1997, l'alternanza scuola- lavoro e la legge 170 diRenzi, con la famosa figura del “super preside”, hanno trasformato la scuola in una vera e propria azienda. Il dirigente scolastico ha ormai delle spiccate funzioni manageriali ed è anche il datore di lavoro dei suoi dipendenti. Nei fatti non è più un primus inter pares e, con la sua eminenza, scavalca tutti gli organi collegiali della scuola. Essendo il capo dell’istituto, ha molte prerogative: accoglie finanziamenti e sponsorizzazioni da parte dei privati; impone la didattica che ritiene più opportuna, prescindendo da un vero confronto coi decenti; gestisce personalmente le relazioni con enti e fondazioni pubbliche о private; dispone liberamente del personale decente ed ATA, senza alcuna vera trasparenza nella gestione dell’organico; impedisce de faсtо l’attività sindacale. Come sa chiunque lavori in questo settore, i rapporti di forza tra lavoratore e datore di lavoro sono totalmente sbilanciati. L’idea che un dirigente scolastico possa licenziare un suo dipendente non è più tanto peregrina e spesso a scuola vige una vera e propria “militarizzazione” delle relazioni lavorative. Il corpo docente, peraltro spesso umiliato da una vera e propria campagna mediatica tesa a svilirne la professionalità e l’autorevolezza, è ridotto all’acquiescenza ed al servilismo. Ilricatto del licenziamento, del richiamo, dell’assegnazione alle classi peggiori о alle sedi più disagiate rende impossibile non solo qualsiasi forma di lotta nel luogo di lavoro, ma perfino la libera espressione delle proprie idee dentro e fuori dalla scuola!
Le riforme di questo governo “sovranista” mostrano ancora una volta come il sistema scolastico italiano è ormai diventato da anni uno strumento del totalitarismo liberale, anziché un mezzo di emancipazione e formazione critica dei cittadini. La scuola pubblica ad accesso universale, un tempo veicolo di progresso sociale, è stata trasformata in un sistema che favorisce la passività e la conformità, preparando glistudenti a diventare lavoratorisottomessi e privi dispirito critico, sempre più precari e oppressi. Si coltiva con sapienza e organizzazione l’ignoranza di massa. Viene perpetuata scientificamente l’ideologia dominante. L’abbassamento del livello culturale è una costante spina nel fianco dell’istruzione pubblica nel nostro Paese. Giuntamente avvertiva con lucidità Che Guevara che un popolo ignorante è facile da ingannare. L’iper-specializzazione sostituisce una faccia fondamentale e ipocrita di questo meccanismo. Conoscere solo il proprio particolare serve a nascondere l’intero e a non comprendere l’insieme. La nostra visione socialista vuole una scuola organicamente umanista che forgi cittadini critici e attivisocialmente, in cui la realizzazione disé e della società sia aiutata anche dal lavoro. Un lavoro che dovrebbe essere sempre più creativo, senza dipendere da un contratto salariale privato alribasso e iugulatorio, che guardi all’interesse collettivo e non solamente a quello individuale. La scuola dovrebbe diventare un perno della trasformazione della società, un motore di cambiamento nella fase di transizione verso ilsocialismo. In questo momento però siamo ancora in un sistema capitalistico e borghese e anche a livello culturale le masse popolaristanno subendo un attacco senza precedenti. Ci trattano come dei numeri, ci vogliono robot, docili schiavi che abbassano la testa e dicono sempre disì, mandando giù di tutto. Tutte le riforme degli ultimi 30 anni, a partire da quella diBerlinguer nel1997, promesse sia da governi didestra che di “sinistra”, hanno smantellato la scuola democratica della Prima Repubblica, introducendo logiche aziendaliste e riducendo l'importanza delle discipline umanistiche a favore di un'istruzione basata sulle "competenze". Una scuola sempre più “neoliberista”, “digitale”, “militarizzata” e “inclusiva”. L'attenzione alle competenze ha portato a un impoverimento delle conoscenze di base, rendendo difficile per glistudentisviluppare un pensiero critico. Ilsistema scolastico favorisce una élite ristretta, mentre la maggior parte deglistudenti è destinata a un'istruzione di bassa qualità, perpetuando una società gerarchica e limitando la mobilità sociale. La scuola italiana è sempre più classista e razzista, con una sempre più marcata differenziazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra scuole diserie Ae scuole diserieB, tramite un feroce attacco alla cultura in generale, ma in particolare di quella che lotta per un cambiamento, a quella rivoluzionaria. Aziende, banche, multinazionali, ma anche l’esercito e le forze dell’ordine influenzano sempre di più ilsistema scolastico, tramite ad esempio espedientisubdoli come l’alternanza scuola lavoro. Discipline come la storia, la geografa, la filosofia e le lingue classiche sono state marginalizzate, con l'obiettivo di impedire agli studenti di comprendere le dinamiche di potere e disviluppare una coscienza critica. Glistudenti non devono conoscere la storia più vicina, non devono comprendere il presente, ilruolo dell’imperialismo occidentale e dell’UnioneEuropea, ilfatto che il proprio Paese sia praticamente una colonia a sovranità limitata degliUSA. Non può emergere un’alternativa allo status quо. Semplificazionedi ogni cosa, banalizzazione dei contenuti, mentre gli approfondimenti e la complessità, vengono lasciate airicchi, ai privilegiati, alle future classi dirigenti che dovranno continuare a mantenere lo sfruttamento della maggioranza della popolazione. Mentre le nostre scuole cadono a pezzi, le risorse per le guerre imperialiste si trovano sempre. Si viaggia anche in questo campo verso la privatizzazione delsistema scolastico nazionale. Mentre la scuola pubblica sifarà pian piano martire sotto le esigenze capitaliste, i pochiruoli chiave verranno garantiti da chi potrà permettersi distudiare nelle scuole migliori, cani da guardia, intellettualiorganici delsistema. Le rare eccezioni potranno sempre cercare fortuna all’estero eppure obbedire ed adeguarsi. Questa sarà la scuola delmerito! I decenti che cercano diopporsi a questa struttura sono spesso repressi dai dirigentiscolastici, con conseguenze negative sulla loro carriera e sulla qualità dell'istruzione. C’è sempre più la necessità, come delresto nella società, di una resistenza organizzata, proponendo la creazione di centri culturali, biblioteche popolari e circolaridi discussione per contrastare il declino della scuola pubblica e promuovere una formazione critica, libera, laica ed universale.
Dobbiamo costruire una visione concreta diversa. Auspichiamo e lottiamo per una rivoluzione delsistema scolastico, con l'obiettivo diripristinare una scuola veramente democratico e svincolata da controllipolitici e ideologici. Occorre rivendicare e difendere l'articolo 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. «I decenti, gli studenti e tutti i lavoratori ATA devono organizzarsi e coordinarsi con un intervento comune. Non è possibile ottenere avanzamentise non si assume consapevolezza che la battaglia fa parte di una guerra più grande, di classe, volta contro il complesso della classe lavoratrice, italiana e non. Se l’offensiva è di tali proporzioni, e se il regime dispone del completo controllo dei media e di altre preziose tecniche che ne garantiscono il controllo sociale, occorre interrogarsi sul limite di offrire dettagliati quadri analitici che non sfocino in un’azione politica concreta. Il movimento, e con esso tutti gli studenti e i progressisti, devono cominciare anzitutto ad accettare l’idea di vivere in una forma moderna diregime, Le attuali rappresentanze politiche parlamentarisono totalmente inadeguate, per scelta о per incompetenza, a dare rappresentanza al movimento. Occorre cercare alleanze nella società civile e nelle forze sociali, politiche e culturali rimaste sane nel Paese, ma bisogna attrezzarsi per una guerra di resistenza permanente. Non c’è tempo per concedersi il lusso della rassegnazione. La lotta per una scuola che metta al centro l’emancipazione umana e non gli interessi del sistema produttivo non può che ripartire dalla concezione gramsciana della cultura: “La cultura […] è organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri.” [fonte 2] Questa visione tanto ardita della cultura come strumento essenziale per la liberazione degli individui e per la formazione di personalità consapevoli non ha mai trovato ampio spazio nella scuola italiana, poiché, in un Paese capitalistico come il nostro, una scuola di massa, ma che allo stesso organizzasse la società secondo le esigenze del mercato, è stata sempre nelle intenzioni della classe dirigente. Ciò nonostante, l’istruzione ha svolto un ruolo fondamentale nella rinascita dell’Italia nel secondo dopoguerra, sebbene sempre in un’ottica di contrasto tra influenze progressiste e posizioni reazionarie. Siamo convinti che un uomo, prima di lottare per essere libero, debba essere in grado di concepire la libertà. Chi viene educato a non pensare, è il servo più fedele, perché non avrà mai alcuna coscienza della sua condizione. E in questo senso, secondo noi, vanno intese le parole di Gramsci sopra citate: la cultura è presa di possesso della propria personalità e coscienza dei propri diritti e dei propri doveri.
Fonti:
2) Estratto di un articolo di Antonio Gramsci apparso su “Il grido del popolo” il 29 gennaio 1916
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